Wood*Ing Lab, il playground di Valeria Mosca.
Non più una pratica di nicchia, né una moda. il Foraging è sempre più diffuso tra gli chef di tutto il mondo e le persone stesse ne stanno acquisendo consapevolezza. Benefici: innumerevoli. Connessione con l’ambiente: totale. Varietà di sapori: infinita.
“Il foraging è l’attività di andare a raccogliere in luoghi incontaminati vegetali o parti di essi che possano essere adatti al nutrimento umano”, così lo definisce Valeria Mosca con voce dolce ma sicura, mentre passeggia nel bosco intorno al suo Wood*Ing Lab, in Brianza, raccogliendo foglie e fiori e porgendole agli altri per farle assaggiare.
Sembra una pratica da noi lontana anni luce, eppure "fino al 1800 il pasto di un uomo era prevalentemente selvatico, fino all'85% di quello che veniva consumato dalle classi medio-basse". L'uomo raccoglie da sempre, insomma, e non è quindi un caso che l'Alimurgia, la scienza che studia l'introduzione di cibi selvatici nell'alimentazione in tempi di siccità o carestie, sia una scienza antica.
Il foraging può essere praticato ovunque: si può raccogliere nei boschi, nei prati, in zone aride, al mare o in montagna. Per esprimere il concetto in maniera semplice, potremmo dire che fare Foraging è come fare la spesa nella natura, senza spendere nulla, ma traendo tutti benefici del cibo selvatico, riscoprendo un mondo assolutamente affascinante che è quello del regno vegetale e animale, in cui nulla è lasciato al caso e ogni organismo coopera con gli altri in un meccanismo perfetto. “Siamo ormai completamente disconnessi dall’ambiente naturale e non lo consideriamo più una casa, mentre in realtà lo è a tutti gli effetti”.
Metti insieme sette esperti tra chimici, tossicologi, erboristi, agronomi, mixologist, sotto la mente fervida di Valeria, forager per vocazione, studiosa e chef, ed ecco Wood*ing Lab, un vero e proprio laboratorio dedito principalmente alla ricerca, lo studio e la catalogazione dei vegetali selvatici e la loro integrazione nell’alimentazione umana. Da Wood*Ing, tante figure quotidianamente si confrontano, sperimentano, studiano la biodiversità e si impegnano a diffondere messaggi di tutela ambientale attraverso corsi, consulenze, ma anche attività più pop come degustazioni e cene wild nella cascina che ospita il loro laboratorio.
Valeria ha studiato conservazione dei beni culturali, lavorando nel frattempo tra una cucina e l'altra, ma ha ereditato una forte passione per il mondo selvatico dalla nonna, che da bambina la mandava a raccogliere le piante nei prati vicino casa. Per lei il foraging è uno stile di vita. Ha molto a cuore la tutela dell’ambiente, ma è anche una chef consapevole delle potenzialità del prodotto selvatico. “Con il cibo selvatico devi imparare la giusta metodologia di cottura e conservazione” afferma Valeria, “si tratta di cibi molto ricchi a livello organolettico e quindi più difficili da gestire ai fornelli, ma i risultati sono senz’altro entusiasmanti”, con una varietà di prodotti incredibile da mescolare e abbinare.
In effetti, moltissimi chef e mixologist si stanno avvicinando al foraging per “esplorare le potenzialità di nuovi ingredienti”, ricchi di sapore e utilizzabili nei modi più svariati, sia in cucina che in miscelazione. Certo, questo sta riportando la disciplina del foraging alla ribalta e questo è un bene, ma non ci si può improvvisare forager: bisogna studiare le piante e saper raccogliere con criterio rispettando il regno vegetale, con la consapevolezza che per ogni pianta buona esiste almeno un suo sosia tossico, a volte mortale, quindi una buona preparazione in materia è fondamentale.
Cosa cambia in cucina quando abbiamo a che fare con ingredienti selvatici? "In effetti" ci spiega Valeria "cucinare le piante selvatiche non necessita di grandi interventi, noi usiamo cotture lente, affumicature, oppure il fuoco. E poi ci piace sperimentare metodi di cottura antichi ritrovati, come la cottura sotto la terra, usata da sempre in tutto il mondo, dalla Sardegna all'Islanda". Metodi semplici quindi, perché i prodotti sono più delicati rispetto a quelli tradizionali, e solo in questo modo conservano tutte le proprietà nutritive e organolettiche. La gamma di profumi e sapori che troviamo in natura non hanno limite, e ogni stagione ha la sua particolarità e i suoi vantaggi.
La Primavera è la stagione della raccolta di foglie verdi, erbe, fiori e gemme degli alberi, da consumare anche crudi. L'Estate è la stagione dei frutti e dei semi. l'Autunno offre muschi e licheni da utilizzare come complementi di farine per fare la pasta o il pane. L'Inverno, sotto lo strato di neve, nasconde le parti sotterranee delle piante che in questo periodo sono a riposo e perciò bulbi, radici e rizomi sono più teneri, gustosi e nutrienti. Le stagioni non sono quindi un limite, ma una indispensabile fonte di varietà. Nel foraging, tuttavia, utilizzare i frutti della raccolta durante tutto l'anno, significa anche saper seguire le microstagionalità. "Ci sono mini-stagioni improvvise di un determinato prodotto che durano magari due giorni, bisogna seguirle meticolosamente ed essere pronti a raccogliere il prodotto per poi sconfiggere la stagionalità con diversi metodi di conservazione. Parliamo, ad esempio, della fioritura dell'Acacia, il cui fiore è molto delicato e può essere rovinato anche da una forte pioggia improvvisa, oppure dei frutti del Faggio, le faggiole, che sono buonissime e di cui gli uccelli vanno ghiotti, perciò spariscono subito".
È qui che entrano in gioco la fermentazione e l'essiccazione: in questo modo si garantisce la disponibilità di un prodotto tutto l'anno, accrescendone addirittura le proprietà nutritive. Esistono molti modi di fermentare, quelli utilizzati da Wood*Ing sono i più disparati: dalla lattofermentazione alla tecnica giapponese del miso. Sfatiamo però un mito: "La fermentazione non è una tecnica proveniente dall'Asia, anche in Italia e in Europa si fermenta da sempre ma la tecnica non è rimasta nelle abitudini e nella cultura alimentare, e perciò non possiamo più considerarla una nostra identità gastronomica". Questo perché nel nostro continente si è andati sempre più verso l'omogeneizzazione del cibo, distruggendo di fatto identità gastronomiche territoriali e perciò l'unicità di alcuni prodotti. "Le lattofermentazioni non sono tutte uguali, possono cambiare in base alle condizioni esterne come temperatura, umidità, qualità dell'aria...un prodotto fermentato è l'espressione totale di un territorio, qualcosa di unico". Concetto fondamentale per Valeria, che cura meticolosamente le fermentazioni dei prodotti che coglie, per garantire un prodotto sano e benefico.
I vegetali selvatici non devono spaventare, anzi: essendo antenati dei vegetali coltivati, hanno sapori riconducibili a quelli delle piante che abitualmente consumiamo, solo molto più intensi e persistenti. Consumare cibi selvatici, infatti, significa anche riscoprire complessità di sapori e caratteristiche ormai abbandonate, perché standardizzati dalla selezione svolta dall'uomo sui vegetali. La bardana, ad esempio, è della famiglia del carciofo e le sue foglie, i fusti e le radici “dopo una veloce sbollentatura” ci ricorda Valeria “sanno esattamente di carciofo, ma in maniera molto più intensa”. “La Pimpinella Anisum, ovvero l’erba Noce”, continua Valeria, “sa di cetriolo ma con la nota tannica della noce”. Le gemme primaverili dell’Abete Rosso (tra le piante preferite di Valeria), hanno un gusto citrico, quasi di limone ma con un aroma balsamico. La Castalda ha lo stesso sapore del sedano, e così via.
Non un limite quindi, ma un universo di sapori e consistenze ancora più ampio di quello che conosciamo, e in più ricchissimo di principi nutritivi: "una foglia di lattuga ha una quantità di vitamina C 25 volte inferiore a una foglia di Ortica, che in più contiene ferro e potassio", ma anche L'Abete Rosso "ha 8 volte più vitamina C rispetto a un limone coltivato, con una nota balsamica in più grazie alla resina". Ma come fai a scegliere cosa mettere nel piatto? Nel foraging nulla è lasciato al caso, e Valeria ha la risposta: "bisogna raccogliere in maniera intelligente. Se una specie è a rischio, non va colta. Piuttosto, c'è da concentrarsi su specie invasive o abbondanti, riequilibrando la natura, cooperando con il bosco".
Valeria è vegetariana, ma la sua ricerca non è limitata al mondo vegetale: proprio nell'ottica di cooperazione con l'ambiente, anche raccogliere specie animali invasive è un chiaro intento di aiuto verso la natura. È il caso, ad esempio, della Sinanodonta Woodiana, un mollusco d'acqua dolce simile a un fasolare, "che ha invaso le acque dolci del Lago Maggiore e del Lago di Como e si è estesa sulle specie autoctone, invadendo e danneggiando l’habitat e il loro spazio vitale", ci spiega Valeria, specificando che "in Asia è molto consumato e perciò stiamo sperimentandone varie possibilità di utilizzo in cucina". Wood*Ing è, infatti, anche molta sperimentazione: Valeria e il suo team non smettono mai di cercare nuove specie vegetali e animali e ogni volta che ne trovano una, questa viene stressata e testata finché non riescono a tirarne fuori il lato migliore. "La cosa più strana che abbiamo provato negli ultimi mesi è servire il gelato fatto a partire dalle colonie simbiotiche di batteri e lieviti, conosciute più comunemente come 'madri', che hanno un sapore floreale e fruttato di litchi. Il risultato è un gelato che sa di frutta e fiori, sorprendente". Praticamente Avanguardia gastronomica.
Il futuro per i ragazzi di Wood*Ing è senz'altro radioso: oltre ad avere a breve una sede più grande e totalmente ecosostenibile, le attività non si fermano mai, le collaborazioni a livello mondiale sono sempre più ambiziose e frequenti, e anche i progetti da realizzare: a breve partiranno dei programmi per insegnare foraging nelle scuole, per far riscoprire ai bimbi il contatto con la natura, e anche un progetto in Africa per insegnare alle donne l'Alimurgia, affinché utilizzino per la sussistenza i prodotti locali come la Moringa, pianta dotata di apporto proteico simile a quello della carne, che invece in Africa scarseggia.
Le potenzialità del foraging sono, di fatto, infinite. Certo, se tutti i sette miliardi di abitanti del pianeta si nutrissero esclusivamente di vegetali selvatici, non potremmo più considerarla una pratica sostenibile. Realisticamente parlando, il foraging non è un modello alimentare applicabile su larga scala, ma possiamo comunque farlo nostro e gioire dei suoi benefici. Il trucco è semplice: imparare a integrare nella dieta una parte di vegetali selvatici, ovviamente raccogliendo in maniera giusta e consapevole. Con in testa questa frase, da ripetere come fosse un mantra: Walk on the wild side.
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