Lo scozzese Ben Reade ci svela segreti e sperimentazioni: l’unico limite è l’immaginazione
Se fino ad oggi avete pensato alla fermentazione come qualcosa di strano o solo come la madre putativa del Kombucha, il tè fermentato così caro agli americani per le sue innumerevoli proprietà benefiche, preparatevi a cambiare idea: la fermentazione è tutta intorno a noi, in ogni aspetto della nostra vita.
Questo metodo di preparazione sta prendendo sempre più piede nelle cucine di tutto il mondo, da Londra a Copenhagen a Tokyo, con benefici a 360 gradi: oltre a rendere gli alimenti buonissimi, ne migliora le proprietà organolettiche grazie all’abbondanza di “batteri buoni” che aiutano il nostro organismo.
Tutto suggerisce quindi che la fermentazione non sia solo un trend culinario come tanti, ma qualcosa destinato a restare nelle nostre abitudini perché sano, sostenibile e, non ultimo, assolutamente delizioso. Menomale che ce ne siamo accorti, aggiungerei. Perché la fermentazione non è stata inventata ieri, anzi: noi esseri umani ce la portiamo dietro da almeno diecimila anni. Buona parte delle cucine nel mondo si basa sulla fermentazione, dalla cucina giapponese a quella indiana, ma anche in Europa la troviamo in diverse forme. In effetti, siamo circondati da cibi fermentati: basti pensare al vino o alla birra, al lievito, lo yogurt o, ancora, i formaggi e i salumi. Sono poi così inquietanti? La fermentazione è un processo naturale antico quanto l’uomo, utilizzato da sempre per conservare il cibo, con la straordinaria proprietà di concentrare i sapori.
Allora perché gli chef stanno riscoprendo solo ora questa pratica antica? Semplice, perché si sono accorti che la fermentazione tira fuori il meglio di un cibo, tutto il suo umami, in maniera totalmente naturale e il risultato è un cibo estremamente sano, saporito, che con la sua acidità e sapidità riempie il palato. Questa tecnica apre sicuramente nuove strade agli chef, che possono così giocare sulle acidità dei cibi. La fermentazione di frutta e verdura è quindi la nuova frontiera della sperimentazione nelle cucine stellate, nonché un’ottima abitudine nelle cucine casalinghe.
Come funziona esattamente la fermentazione? Il processo in realtà è più semplice di quanto si pensi, quasi magico, perché il lavoro grosso lo fa la microbiologia: le verdure vengono immerse in acqua salata o, se possibile, nel loro succo. E’ a questo punto che si formano i batteri responsabili della fermentazione, che nutrendosi degli zuccheri sintetizzano l’acido lattico, o più comunemente Lactobacillus, il responsabile del classico sapore acidulo del cibo fermentato, ma anche fautore di tutti i benefici del caso.
Ben Reade, giovane e brillante chef scozzese, è forse uno degli sperimentatori più attivi sul campo tra le giovani leve europee della ristorazione. Come ci racconta, tutto è iniziato quando ha cominciato ad appassionarsi di vinificazione: “così ho scoperto il mondo della microbiologia legato agli alimenti e ho iniziato a studiare la storia del cibo, di quello che mangiavamo in passato e che mangiamo adesso”. Approfondendo le sue ricerche, ha scoperto un intero mondo: “La fermentazione è un campo vastissimo, ti permette di esplorare la biologia, la microbiologia, il nutrizionismo, il gusto” spiega Ben, che dopo un’esperienza al Nordic Food Lab di Copenhagen, ha intrapreso la sua strada aprendo con la sua compagna Shoshana un suo spazio, l’Edinburgh Food Studio (http://www.edinburghfoodstudio.com/), a metà tra ristorante e luogo di sperimentazione. Definirlo solo un ristorante sarebbe riduttivo: nel suo spazio Ben studia, insegna, sperimenta e lavora gli ingredienti più disparati, perlopiù selvatici e autoctoni.
“La fermentazione è parte integrante della storia del cibo e senza di questa la nostra società non avrebbe le stesse basi di adesso”, sottolinea Ben mettendo un giusto accento sul fatto che essendo un metodo antico e quindi fortemente legato alla tradizione di ogni paese nel mondo, può farci scoprire tanti aspetti e sapori legati ad un tempo che non c’è più. Chef come Ben lavorano affinché questi sapori tornino a vivere: “in questo periodo, ad esempio, sto studiando il mondo della panificazione tradizionale scozzese e in particolare, la pasticceria e le torte della tradizione in Scozia, che nulla hanno a che vedere con quello che si trova in commercio adesso”, esplorando un ampio ventaglio di possibilità di sperimentazione nel campo, a partire dall’impasto fino alla frutta per la farcitura. L’ultimo esperimento di fermentazione? “Per ora ho solo gli ingredienti, ma stiamo per sperimentare la preparazione del miso (pasta fermentata derivata dalla soia, caposaldo della cucina giapponese - ndr) con una farina derivata dai piselli tipicamente originaria di Golspie, in Scozia”.
Come ci insegna Ben, dunque, la fermentazione è un mondo a parte che può davvero essere declinata in tutti gli aspetti della cucina, e sicuramente una sperimentazione in questo senso non può che far bene al corpo e al palato. Insomma, le vie della fermentazione sono infinite, non è forse il caso di iniziare a sperimentarle?
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